Il rafano: una radice tutta da scoprire

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E’ abbastanza probabile che tra i nostri lettori molti non abbiano mai assaggiato il rafano, che in effetti in Italia è coltivato soltanto nel Nordest e in Lucania, mentre è molto diffuso nell’Europa orientale e del nord. Anche conosciuto come cren, appartiene alla famiglia delle Cruciferae; se ne consuma quasi soltanto la radice giallo-biancastra o marroncina con la polpa bianca, che risulta molto piccante al palato perché contiene aromi simili a quelli della senape. Anche le foglie sono commestibili quando sono molto tenere, in primavera.

Il rafano è un ingrediente fondamentale nella cucina germanica e dei Balcani: di solito se ne prepara una salsa grattugiandolo e unendolo ad aceto, panna e pangrattato – che viene usata per accompagnare carni lesse, salumi affumicati, pesci affumicati o frutti di mare. In Veneto si prepara una salsa con radice fresca grattugiata, aceto bianco, zucchero e sale. Ma si può anche consumare crudo in insalata, tagliato finemente a julienne oppure grattugiato come formaggio – anche abbinato a mele tritate. L’importante è consumarlo appena grattugiato: perciò, anche se è vero che si conserva anche per due settimane in frigorifero, va raschiato e grattugiato man mano che lo si consuma (se è troppo secco, basta tenerlo immerso in acqua fredda per 30 minuti). Se essiccato e polverizzato può diventare un condimento per le minestre. A Potenza viene scherzosamente chiamato “il tartufo dei poveri” (visti i prezzi veramente irrisori) e cucinato in frittata con pecorino, uova, prezzemolo e pepe. E’ nota anche la presenza del rafano tra le erbe amare con cui si celebra il seder, la Pasqua degli ebrei.

Il rafano ha notevoli proprietà nutrizionali e curative: antireumatico, stimola la secrezione gastrica e facilita la digestione.


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